mercoledì 18 febbraio 2009

Ghè, Ciriè e l'isola che non c'è

Mauro Covacich, 2005
(in Eco e Narciso. 14 scrittori per un Paesaggio, Sironi, Milano 2005)


«C’è stato un momento in cui qualcuno di noi ha deciso di agire» mi dice Cinzia Franza, guardandomi dritto negli occhi. «Si è creato un gruppo. L’abito discreto, misurato, del piemontese, è stato messo da parte e questo gruppo di persone si è dato una mossa. Altro che non parlare al manovratore: c’è stato proprio un guizzo. Io l’ho visto il guizzo. Ero bambina, ma l’ho visto. Per questo non mi interessa che il museo sia… come dire… in memoria di mio padre, il cui ricordo resta per me un fatto intimo, personale. No, io vorrei che il museo fosse inteso in memoria di quel guizzo». Mi accoglie così Cinzia, all’ingresso della fabbrica, con la memoria di un guizzo. È accompagnata dall’amica Mara Papurello: due donne che, anche nel bianco e nero di queste scene, hanno negli occhi lo scintillio vitale del combattente, del resistente. Cinzia è figlia di Benito Franza, l’operaio che insieme al collega Albino Stella ha intrapreso un’inchiesta a titolo personale contro l’azienda per la quale lavoravano, l’Ipca appunto, ottenendone la condanna e la successiva chiusura.

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